
Quella mattina di giugno il commissario Giuseppe Tavulli, per tutti Beppe, non aveva né la voglia né la pazienza per recarsi al commissariato.
Faceva caldo, la gente sembrava morsa dal sole e tutto il mondo si inseguiva inutilmente e disperatamente nel traffico caotico di Roma.
I pensieri erano fissi in mente e neanche un caffé al solito bar, da Michele, riusciva a far decollare la giornata.
Però doveva farlo, aveva ricevuto una chiamata improvvisa, i suoi uomini avevano bisogno di lui, ancora una volta.
In sede lo accolse Palizzi, teso come una corda di violino e pronto a spiegare cosa fosse successo.
"Ci sono novità? Come mai sei così agitato?"
"Dottore, abbiamo una brutta rogna".
"Tanto per cambiare! Avanti, dimmi".
"Hanno trovato il corpo di una ragazza".
"Dove?"
"In una villa a Sabaudia. Sul posto c'è già la volante e la scientifica."
"E' stato avvisato il p.m. di turno?"
"Si, è il sostituto procuratore de Matteis."
"Va bene, prendi la macchina e muoviamoci."
Giunse sul luogo del delitto, superando la prepotenza del caldo, che si appiccicava sulla faccia per innervosire la gente.
Rimase immobile.
Vide il cadavere, riconobbe Francesca.
Erano passati almeno dieci anni dall'ultima volta in cui si erano visti.
Allora Francesca era una ragazza piena di vita che aveva fatto perdere la testa a Beppe Tavulli, studiavano, avevano sogni e si amavano perdutamente.
Come tutte le storie immature era finita, ma Beppe aveva pensato a lei talmente tante volte da non capire che fossero passati dieci anni.
Adesso eccola li', riversa sotto un lenzuolo bianco, vittima di un qualche assurdo omicidio.
Beppe senti' una ferita aprirsi dentro, ma il ruolo gli imponeva di mantenere il solito piglio deciso:
mai Palizzi l'aveva visto debole, umano.
Rivedere la sua Francesca cosi', dopo tutti quegli anni, gli graffio' irrimediabilmente l'anima.
"Sabaudia?" - pensava - perchè Sabaudia? Che ci faceva lì?
Beppe sapeva benissimo che Francesca aveva una casa al mare a San Felice Circeo. Amava troppo quella casa con vista sul mare per abbandonarla in piena stagione estiva. Perchè spostarsi a pochi chilometri di distanza? E poi..in piena notte! Chi mai doveva incontrare? O quale spregevole balordo l'aveva abbandonata lì magari ancora in fin di vita...
"Palizzi, vieni con me a San Felice" - disse con un filo di voce Beppe, ma mosso da un'irresistibile voglia di scoprire subito la verità su quell'assurdo omicidio.
Senza proferire parola, Palizzi abbassò il capo in cenno di assenso.
Dopo un ultimo sguardo alla ragazza, Beppe si voltò e poggiando la sua mano - umida di sudore per il terribile caldo ma forse anche di qualche lacrima che aveva immediatamente raccolto perchè nessuno vedesse - sulla spalla del Palizzi quasi in cerca di conforto, si diresse alla macchina.
I due si mossero verso San Felice.
Beppe disse a Palizzi di conoscere la ragazza, senza aggiungere altro.
Palizzi, da poliziotto di razza, sapeva di dover interrogare oppure tacere, a seconda delle circostanze. Tacque.
La macchina rincorreva il vento caldo del litorale laziale e Beppe cercava di scavare nella mente, di ricordare dove fosse la villa di Francesca. La villa di famiglia, nella quale erano andati a fare l'amore dieci anni prima in un pomeriggio ancora piu' caldo di quello che gli stava asciugando i ricordi.
Passarono per il centro di San Felice e Beppe vide per strada un vecchio, con un volto di quelli che non si dimenticano, solcato dalle preoccupazioni e da una vita di lavoro.
Aveva gia' visto quel vecchio, forse dieci, dodici anni prima, l'aveva visto, sicuro.
Allora si rivolse all'uomo: " Scusi, sa dove si trova villa Tosi?"
Il vecchio lo squadro', le sue origini calabresi lo conducevano per tendenza a non fidarsi delle persone, soprattutto delle perosne che domandavano.
Beppe mostro' il distintivo e la lingua del vecchio improvvisamente si sciolse.
"Villa Tosi? Certamente. Prosegue per Via De Gasperi, gira in Via del Pignolo e dopo 200 metri vede un grande cancello rosso, quella e' villa Tosi. Sa.... la conosco bene, ho lavorato per la famiglia Tosi per oltre trent'anni".
Ecco dove l'aveva visto.
Saluto' bruscamente, come al suo solito, e ritorno' in macchina.
Palizzi era sempre piu' curioso, ma decise di stare sempre piu' zitto.
"Cos'e' Palizzi, ti hanno forse tagliato la lingua ?"
" No, dottore,è che...."
"E' che? Avanti , non ti mangio mica!"
"E' che è da tanti anni che ormai lavoriamo insieme,ne abbiamo avuti di casi come questo, ma così " silenzioso" non l'avevo vista mai."
"Non ti preoccupare, è solo che non ho dormito bene."
E come poteva mai dormire bene dopo 500g di pasta alla amatriciana che si era sbafato piano piano e in maniera quasi rirtuale la sera prima!
Arrivarono alla villa.
Una dimora da ricchi, una casa da signori eleganti.
Beppe la ricordava così e così era rimasta, quasi cristallizzata in un tempo indefinito, giudicato solo dai ricordi.
Il cancello rosso, gigante e minaccioso, apriva la vista a un giardino curato sin nell'ultimo dettaglio. Le palme sostavano sul prato senza disturbarne la perfezione.
I colori dei fiori accoglievano le persone, soggiogandole in un magico gioco di luci delicate.
Era un paradiso quella villa.
Non bisognava meravigliarsi di tanto splendore.
Il padre di Francesca, il Dott. Tosi, aveva voluto quella casa come simbolo di una vita dedicata al lavoro, come vessillo di ciò che il primario Tosi, il professore ammirato in centinaia di congressi internazionali e nei salotti buoni romani, era riuscito a costruire.
Beppe si risolse a citofonare.
Rispose una voce fioca, indebolita dall'afa di quella giornata.
"Si?!?"
"Signora, sono il Commissario di Polizia Giuseppe Tavulli, può aprire gentilmente?"
"Certo, subito!"
Il cancello si spalancò e il vialetto sporcato da ciottoli e terra bruna scivolò sotto i passi veloci di Beppe.
Giunse alla scalinata d'ingresso, uno dei punti più maestosi di quell'enorme edificio che il Dott. Tosi aveva preteso.
"Signora, come le ho detto sono il commissario Tavulli" - e mostrò il distintivo.
"Bene, io sono Cristina Arini, signor Commissario, da sempre la governante di questa casa, mi dica, che cosa è successo, mi devo preoccupare?"
"Signora, da quanto tempo lei non vede la signora Francesca"
"La signorina Francesca, lo corresse subito ( Cristina era una donna all'antica e ci teneva alla distinzione tra signora e signorina), è partita ieri per Firenze, sa è sempre impegnata, ma perché vuole saperlo signor commissario?"
Quel "signorina" aveva inconsciamente allietato la mente di Beppe, non si era sposata, non era stata ufficialmente di nessun altro uomo, ma......era morta.
La mente del commissario Tavulli fu raggelata da un'immediata considerazione.
Francesca aveva detto di voler andare a Firenze, invece era stata trovata a Sabaudia.
Il caso si faceva sempre più misterioso.
"Signora, dovrei cortesemente parlare con i genitori di Francesca".
"I genitori? Ma cosa mi chiede, commissario. I signori Tosi sono morti entrambi cinque anni fa e da quel momento questa casa non è più la stessa...."
"Cosa è successo?" Ripetè la signora.
"Francesca è morta, signora. Il cadavere è stato trovato questa mattina a Sabaudia".
Cristina scoppiò in un pianto immediato e irrefrenabile, quasi infantile.
Amava Francesca più di una figlia.
Beppe la abbracciò forte.
Rimasero così per almeno cinque minuti, con la signora Cristina che piano piano spense il pianto, per lasciar posto al dolore profondo, muto.
Beppe le disse di voler dare un'occhiata alla stanza di Francesca e Cristina lo accompagnò.
La stanza, al secondo piano, era collocata proprio al centro della grande facciata della villa.
Da lì si riusciva a dominare l'ingresso trionfale e lo splendido paesaggio circostante.
Era una finestra sul mondo, su quei colori estivi così intensi, sulla vita.
Beppe entrò e trovò tutto in ordine, segno evidente del lavoro costante e amorevole di Cristina.
Aveva già rimesso a posto ogni cosa, come sempre, come una vita insieme alla famiglia Tosi le aveva insegnato.
L'occhio abile di Beppe notò una piccola luce verde e l'orecchio avvertì un brusio.
La lucetta del computer nero che occupava mezza scrivania di Francesca era accesa, fissa, immobile.
Il computer non era spento.
Beppe si avvicinò al mouse, lo scosse, per sostituire il nero ingombrante dello schermo con le note sembianze di un desktop.
Apparve una foto di Francesca, bellissima e felice, su una spiaggia forse sudamericana forse sudafricana, rivestita dalle piccole icone che ricordano al mondo le applicazioni utilizzabili.
In basso, sulla barra grigia del desktop, una finestra era stata ridotta.
Beppe la aprì istintivamente.
Apparve una mail.
"Francy, è successo. Ti aspetto da me a Sabaudia. Vieni presto, ti prego. S."
La mail era stata mandata da una certa Silvia Armienti, il nome era memorizzato.
Il tono dello scritto era stringente.
Francesca era partita subito, senza neanche spegnere il computer.
Beppe avvicinò una mano agli occhi. Voleva riflettere.
La circostanza che Francesca avesse mentito sulla destinazione con la signora Cristina non lo insospettì, è costume comune mentire bonariamente agli anziani.
Non riusciva però a spiegarsi la fretta.
Partire così, con un'urgenza tale da non consentire di spegnere il pc.
Per fare cosa o meglio per chi?
Si affacciò dalla finestra e, rivolgendosi al fido Palizzi rimasto dubbioso all'ingresso,disse: "Palizzi, svelto, avverti il commissariato. Entro un quarto d'ora voglio sapere tutto su una certa Silvia Armienti che sta a Sabaudia. E quando dico tutto, voglio dire tutto!"
"Sì, signor commissario" - Rispose Palizzi, maledicendo tra sé e sé Tavulli, il caldo e la ricchezza ostentata da quella casa che lui non avrebbe potuto comperare neanche dopo una vita di turni di notte, domeniche, inseguimenti e arresti....
Tornò dopo meno di dieci minuti.
"Dottore, Silvia Armienti è un'insegnante di educazione fisica che lavora all'istituto "Leopardi" di Sabaudia. Sposata con tre figli, risiede in Piazza Circe a Sabaudia."
"Andiamo" - disse subito Tavulli.
Lasciò la signora Cristina al suo dolore, rammentandole di chiamarlo qualora avesse ricevuto qulache notizia o avesse notato qualcosa.
Tornarono a Sabaudia, la giornata volgeva al termine.
Era stata pesante, pesantissima.
Ma Beppe voleva la verità, a dispetto del tempo e della fatica.
La grigia casa di via Crirce al piano terra sembrava davvero molto trascurata.
Stonava incredibilmente con lo splendore di Villa Tosi ammirato nel pomeriggio.
Beppe bussò alla porta.
"Polizia, aprite!"
Udì uno sparo all'interno della casa e sentì la finestra sul retro frantumarsi.
"Palizzi, corri verso il retro della casa, qualcuno sta tentando di fuggire".
Disse ciò nella foga e dimentico del peso di Palizzi, che con i suoi 93 kg ( per un metro e settanta) non era in grado di inseguire neanche una vecchietta fuori forma.
La sagoma svanì, mentre a Palizzi stava per venire un infarto.
Beppe sfondò la porta e trovò un cadavere di donna completamente sfigurato dal proiettile che aveva preso in faccia pochi istanti prima.
La visione raccapricciante stemperò la rabbia di Beppe nei confronti di Palizzi.
Torno' a casa per fare una doccia ghiacciata.
Neanche l'acqua fredda da far male riusci' a rasserenarlo per un istante.
Ando' in cucina a bere mezzo bicchiere di Ramazzotti, per riordinare le idee.
Una cosa era certa, Francesca era morta.
Prese delle foto che aveva nel cassetto, logorate dal tempo e dalle sue mani, che troppe volte le avevano toccate per riassaporare per un istante il grande amore vissuto.
Le strappo' e pianse, solo e disperato.
Squillo' il telefono.
Dall'altra parte parti' un suono forte e filtrato.
Battisti.
"Ti stai sbagliando chi hai visto non e', non e' Francesca!"
"Bastardo" - Grido' Beppe - "Chi sei?"
" Ehi, Beppe" - bisbiglio' una voce camuffata dall'altra parte della cornetta - "La nostra partita e' iniziata soltanto adesso. Attento, Beppe, ammazzero' anche te. Buona notte".
Le ultime gocce d'acqua sulla fronte, testimoni della doccia di pochi minuti prima, si confusero con il sudore freddo che lo avvinghio' in quel momento.
Squillo' il cellulare di servizio.
" Pronto".
" Dottore sono Palizzi, da Sabaudia hanno avvisato che si e' costituito l'assassino di Silvia Armienti. Ha confessato. E' il marito".
" Cosa?"
"Si', dottore. Lo ha fatto per gelosia. Ha detto che la moglie gli aveva appena confessato di averlo tradito due sere prima con un altro uomo. Ha ucciso in preda a un raptus, poi siamo arrivati noi ed e' scappato. Ma non ha retto al lungo. Ha dichiarato di non essere coinvolto nell'omicidio di Francesca Tosi. Continua a negare sul quel punto, fermamente, dottore."
La notizia non sollevo' Beppe minimamente.
Ecco allora per cosa Silvia aveva chiamato Francesca. Per confidarsi. Una donna disperata che aveva tradito e necessitava del conforto della sua migliore amica.
Ma allora chi era il vero assassino di Francesca, chi era quella voce da psicopatico che pochi istanti prima aveva osato chiamarlo a casa per sfidarlo?
E come mai Francesca, andata a Sabaudia per vedere Silvia, aveva incontrato li' la morte?
Troppi interrogativi assillavano la mente di Tavulli.
Non riusci' a rimanere a casa.
Si precipito' al commissariato.
Il commissariato era vuoto quella notte. C'era solo il solito appuntato sfigato che sacrificava la sua notte causa turno notturno che sobbalzò appena lo vide e, battendo i tacchi:
"Comandi", urlò.
"Comodo comodo", rispose Beppe, "e non urlare che la gente a quest'ora dorme e non vuole essere svegliata"
L'appuntato abbassò il capo e si rimise seduto alla scrivania continuando la partita a solitario che prontamente aveva nascosto all'arrivo di Tavulli.
Si chiuse nel suo ufficio Beppe ma prima ebbe l'accortezza di urlare all'appuntato: "Ah, e mi raccomando, non ci sono per nessuno e soprattutto io non sono mai stato qui stanotte!"
"Si, signore" - urlò nuovamente l'appuntato - chiedendosi non il perchè di tale dichiarazione ma piuttosto per quale motivo Tavulli poteva urlare e lui no!
Solo la piccola luce sulla sua scrivania era accesa. Beppe quella sera cercava nel suo ufficio l'intimità che non riusciva a trovare nel suo appartamento al 3° piano di quel palazzo troppo rumoroso per i suoi gusti. Avrebbe tanto voluto chiamare Palizzi per aiutarlo, ma il dispiacere di svegliare quell'uomo all'una di notte era troppo e, in fondo, Tavulli un cuore l'aveva. E come se l'aveva...
Beppe infatti aveva imparato a provare un ruvido affetto per la gente di cui si fidava.
Era cresciuto in fretta, orfano di padre (anch'egli poliziotto).
L'unica persona che riusciva a dischiudere quel guscio di cocciuta diffidenza era sua mamma, la signora Lina, alla quale Beppe voleva un bene dell'anima, perché lo aveva tirato sù in anni difficili e con il solo stipendio di segretaria della scuola media statale di Treia, in provincia di Macerata.
Beppe aveva anche un fratello, Aldo, con il quale non era mai andato d'accordo e che non sentiva più da anni. La signora Lina gli aveva detto circa due settimane prima che Aldo aveva trovato un bel posto presso la Direzione regionale Marche dell'Agenzia delle Entrate.
Beppe fu felice della notizia, ma non riuscì a telefonare ad Aldo.
A Roma era solo, la sua famiglia era il commissariarto: una famiglia difficile da gestire.
Con Francesca non era andata bene dieci anni prima, appena arrivato a Roma, e da allora solo alcune storie da nulla, vissute perché sapeva di piacere alle donne.
Ma da quelle storie non ricavava mai niente, forse perché niente era disposto a dare.
Quella notte si addormentò nel commissariato, pensando al caso.
Lo risvegliò Palizzi, con un bicchiere di plastica minuscolo colmato fino all'orlo di caffé.
Decise di vuotare il sacco e raccontò a Palizzi perché tenesse tanto a quel caso.
"Bene, signor commissario, cioe' male...Mi dispiace davvero. Io ero entrato nella sua stanza proprio per riferirle che abbiamo qui una signora che vuole vederla. Dice di voler parlare proprio dell'omicidio di Francesca Tosi. La faccio entrare?"
" Certo" - rispose travolto dal sonno e dalle difficolta' che il caso presentava.
"Prego, signora, si accomodi, il commissario la aspetta" - disse Palizzi, spizzando la donna, le cui forme avrebbero colpito qualunque uomo, anche a quell'ora, anche all'alba.
Dietro le sagome di Palizzi e della signora, si era raccolto un nugolo di questurini che forsennatamente si davano di gomito e sbigliavano.
"Quanto e' bona!" - dicevano, un po' a bassa voce, un po' volendo farsi sentire.
Palizzi li fulmino' con lo sguardo.
La Signora entro' nella stanza di Beppe.
Era di una bellezza classica, voluttuosa e fiera.
Mediterranea, con lunghi capelli neri che sfioravvano le spalle nel tentativo di renderle ancora piu' sinuose.
Il volto era perfetto, proporzionato in tutto, come il corpo.
Lo sguardo era sinonimo di malizia, irretiva l'interlocutore conducendolo verso qualunque percorso decidesse di intraprendere.
Non c'era che dire, i questurini avevano ragione.
Beppe, nonostante la stanchezza fosse ormai uno stato latente e micidiale, non pote' ignorare quella visione e rimase, anche se solo per un secondo, a bocca aperta.
La signora si accomodo'.
"Buongiorno sig. commissario, sono Maria Nirotti, la migliore amica di Francesca. Per me era piu' di una sorella."
Beppe si vergogno' per un momento di essere rimasto cosi' fatalmente attratto da colei che si era presentata come la migliore amica del suo grande amore.
"Mi dica, signora"
"Commissario, so che lei conosceva bene Francesca. Lo so"
" Ah si'?" - disse Beppe, non riuscendo a trovare in quel momento niente di piu' adatto nel suo bagaglio verbale.
" Si', Francesca parlava spesso di lei, signor commissario. Parlava di voi due, della vostra storia, dieci anni fa se non sbaglio"
" Continui" - disse Beppe
"Proprio ultimamente ne stavamo riparlando. Francesca negli ultimi venti, venticinque giorni, aveva ricevuto a casa e sul cellulare delle telefonate strane, minatorie, in cui un pazzo farneticava della vostra storia d'amore e minacciava Francesca di ucciderla. Perche' era stata la causa della sua felicita', diceva il folle. Francesca mi ha raccontato tutto e mi ha detto che avrebbe voluto chiamarla, signor commissario, per segnalarle questi strani accadimenti. Mi diceva "Anche se non sento Beppe da molto tempo ed e' finita male, ho paura, gli devo parlare, Maria, questo pazzo mi chiama sempre e sa tutto di me e Beppe. Non riesco a capire chi sia, mi perseguita...Come posso fare, Maria?"
Beppe rimase di sasso, Francesca voleva chimarlo, per proteggersi e forse per proteggere i ricordi della loro storia, che quel cane ogni giorno infangava al telefono evidentemente.
"Signor commissario, io le avevo detto di chiamarla subito, ma lei aveva una sorta di timore nel contattarla. Adesso Francesca non c'e' piu'. Avrei dovuto chiamarla io, subito, signor commissario. Maledizione" e scoppio' a piangere.
Beppe inizio' silenziosamente a odiare se stesso e il proprio carattere, cosi' duro e spigoloso da intimorire Francesca a richiamarlo dopo anni, per salvarsi.
Beppe si alzo' ed abbraccio' Maria per consolarala.
Tra le sue braccia non vi era piu' quella splendida creatura del desiderio manifestatasi prima in commissariato, ma una donna che soffriva, piangendo l'amica piu' cara.
Beppe la strinse a se' come una figlia.
Quando si staccò da quell’abbraccio, si sentì più forte. Il suo tormento era oramai troppo grande per un uomo solo ed, egoisticamente, fu felice di poterlo condividere.
Fu solo un attimo, un attimo di intimità tra un uomo troppo impegnato a venire a capo delle tragedie altrui per risolvere le proprie e quella donna apparentemente troppo bella per poter essere disperata.
Lo squillo del telefono li interruppe proprio mentre Palizzi entrava trafelato nella stanza. Beppe capì dal volto del suo uomo che quella corsa era semplicemente un goffo tentativo di proteggerlo dal caos del mondo che, come sempre, fulmineo invase la stanza.
Beppe alzò il telefono e capì subito che era l’uomo senza volto.
“Commissario, come stai?”, disse.
“Dimmelo tu!”, rispose Beppe mentre si accendeva la decima sigaretta della giornata.
"Ti sta scoppiando la testa, eh? Beh, se non te la faranno saltare i pensieri, me ne occuperò io tra poco, bang, bang, e il commissario non c'è più! Ah,ah,ah,ah!" Iniziò a ridere in maniera esaltata,folle, spaventosa.
"Tu-tu,tu-tu,tu-tu" Cadde la linea, aveva riagganciato.
"Figlio di puttana!" - Esclamò nell'altra stanza un questurino che,su ordine di Palizzi, stava tentando di intercettare la provenienza della chiamata.
"Commissario, sarebbe bastato un altro mezzo secondo e l'avremmo beccato. Conosce le dinamiche delle intercettazioni. E' più furbo di quanto pensassimo"
Beppe stava impazzendo, salutò la signora dicendole che avrebbe fatto anche l'impossibile pur di prendere l'assassino di Francesca, chiamò da parte Palizzi e disse: "Palizzi, sto tornando a casa. E' stata una notte da incubo. Ho bisogno di riflettere con serenità, di riposare e ripartire. Lo prenderemo!?!"
Quest'ultima affermazione aveva perso il tono assertivo tipico di Tavulli per lasciare spazio a un malcelato senso interrogativo, come un vino che si conosce di ottima qualità e sorprenda invece per un retrogusto sgradevole quanto inaspettato.
Beppe stava iniziando a perdere le sue certezze.
"Comunque, per prima cosa, dì a Morani di richiedere i tabulati delle telefonate ricevute negli ultimi venti giorni da Francesca Tosi sul fisso e sul cellulare. Dovrà chiudersi in una stanza con quegli aggeggi che sa usare lui e dirmi da dove chiama quel bastardo, intesi?"
"Sì, signor commissario"
"Ah, Palizzi..."
"Dica, signor commissario"
"Grazie"
Palizzi avrebbe voluto rispondere accoratamente: "E' il minimo che io possa fare per lei".
Ma si limitò a fare un cenno di assenso.
Erano giorni che il commissario gli sembrava più piccolo del solito, piccolo in senso fisico. La fierezza che lo aveva contraddistinto in quegli anni di collaborazione sembrava via via affievolirsi, curvata sotto il peso incessante degli eventi e di quel senso di inutilità che a volte attanaglia anche gli uomini grandi ma che, fortunatamente, non dura a lungo. Guardò Beppe allontanarsi e, istintivamente, bisbigliò un "coraggio ragazzo". Beppe si voltò cercando i suoi occhi, non aveva sentito le parole ma aveva la netta sensazione che uno sguardo lo stesse accompagnando verso casa.
E con quella sensazione risalì in macchina e nel tragitto che lo avrebbe riportato alla sua tana, gli sembrò, anche se per poco, di potercela fare.
Arrivò davanti alla porta di casa che, per sua inquietudine, non era chiusa.
Era socchiusa, appoggiata contro le paure che poteva celare.
Beppe prese la pistola.
Entrò, sferrando un potente calcio alla porta, come nelle pellicole americane.
Gridò : "Chi è là ?! Fermo o sparo, immediatamente!"
Nessuno rispose, la casa era vuota, la porta non dimostrava segni di effrazione, la cucina era in ordine, tutto sembrava quasi perfetto.
Si buttò sul divano, esausto, vinto dalla cognizione di essere uomo, distrutto dalla morte di Francesca.
Alzò lo sguardo contro la parete bianca che si stagliava difronte al suo divano, generalmente interrotta solo dal nero del televisore che si collocava proprio in mezzo a quell'oceano di candore .
"Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria" ( INFERNO CANTO V).
Tutto questo era scritto in rosso e a caratteri irregolari sulla parete.
Quel bastardo era entrato in casa sua.
Beppe non sapeva né come né quando, ma quell'incubo a cui non sapeva dare un volto era riuscito a entrare e a scrivere la sua provocazione a effetto, addirittura.
Beppe, che sin da piccolo amava Dante, contestualizzò subito la terzina: Paolo e Francesca.
Ancora una volta il killer si era fatto beffe di lui.
Il riferimento a Francesca e all'amore perseguitato e reciso era esplicito.
Non riuscì a contenere la rabbia, d'instinto scaglio il telecomando contro il muro.
Poi si alzò e ando in cucina a dare pugni contro il frigorifero, fino a farsi male, fino a piangere.
Gridò forte, come un lupo lasciato solo su un precipizio;
se la prese con il mondo, si disperò e bevve, bevve fino ad addormentarsi a terra.
Una belva ferita, questo sembrava, adagiata sul pavimento verde della cucina.
Dormì per ore e venne svegliato all'alba da una telefonata.
"Pronto?"
"Ciao Beppe, sono Aldo"
"Alduccio, come stai?"
"Bene Beppe, ti volevo dire che tra un pò arrivo a Roma per una riunione importante"
"Ah sì? Ho saputo dalla mamma del tuo nuovo incarico, avrei voluto farti gli auguri, ma il lavoro non mi lascia il tempo neanche di respirare?"
"Immagino"
"Sì, allora dimmi tutto , arrivi a Roma e... ?"
"Ho una riunione presso il Ministero dell'Economia e delle Finanze"
"Ormai sei un capoccia, eh? E pensare a quante legnate ti ho dato quando eravamo ragazzi... Adesso devo avere rispetto, eh? Il Dott. Aldo Tavulli, cazzo che etichetta!" - Esagerò Beppe, ancora in preda alla bottiglia di Lucano che si era scolata e alla depressione per la morte di Francesca, che lo rendeva cattivo e tagliente.
"Beppe, sei sempre la solita testa di cazzo....Comunque mi farebbe piacere incontrarti. Giusto per un caffé e perché ricordo di avere un fratello."
"Va bene, incontriamo il Dott. Aldo Tavulli e dove, eccellenza?"
"Stronzo, se continui così riaggancio. Io direi in piazza Sant'Eustachio alle sei. Ci prendiamo un caffè e cerchiamo di fare quattro chiacchiere" - Disse Aldo con quel tono urbano e affettato che Beppe detestava da sempre
"Va bene, Dott. Aldo Tavulli, quella nullità di suo fratello sarà lieto di incontrarla alle sei!"
"Bene, Beppe. A dopo."
Beppe andò in bagno per tentare di ridare un senso alla sua faccia.
Una sciacquata , un pò di profumo, giusto per recuperare un odore umano.
Non voleva farsi trovare come un disperato.
Decise addirittura di mettere la cravatta, un oggetto al quale sembrava essere allergico sin da ragazzo.
"Il collare" lo chiamava.
Indossò repidamente un collare blu a pois, che non si intonava al massimo con la camicia grigio-verde che al momento era l'unica stirata in tutto il suo esiguo repertorio.
Uscì, deciso a recarsi al commissariato per dare una stretta al caso.
Arrivò e l'immancabile Palizzi, sempre presente e sempre lucido, lo salutò calorosamente.
"Buongiorno commissario, come va stamattina? La trovo meglio" - Mentì Palizzi, giusto per ricaricare Tavulli.
"Bene Palizzi, mettiamoci al lavoro ché poi verso le sei mi dovrò assentare per un pò. Ho bisogno di tutto il tempo a disposizione."
Palizzi lo guardò fissso, come a voler insinuare: "Sciagurato, non perdi mai il vizio delle donne, neanche in questi momenti..."
Pensò così forte che il messaggio arrivò a Beppe.
"Alle sei devo incontrare mio fratello che viene da Ancona" - Rispose inopinatamente Beppe, quasi a volersi giustificare davanti a quello sguardo di Palizzi.
"Sì,sì, non si preoccupi, signor commissario"
La mattinata trascorse, tra congetture, falsi entusiasmi, depressioni cruciali.
Era una giornata di indagini, un ottovolante di emozioni che spesso non riusciva a planare verso una soluzione convincente.
Beppe disse: "Palizzi, devo andare, mi faccia sapere immediatamente se Morani ha cavato un ragno dal buco con quei tabulati. Per qualsiasi cosa, mi basta uno squillo sul cellulare di servizio."
"Bene, signor commissario"
Beppe passò dalla stanza di Morani, lo vide concentratissimo, gli fece quasi pena.
L'agente stava lavorando a quelle carte e a quei numeri da venti ore ormai e non sembrava voler cedere.
Beppe fu orgoglioso dei suoi uomini e premiò Morani con una frase "gentile".
"Bravo Morani, sveglia però....Hai la faccia di chi ha appena fatto due rounds con Tyson....Vivace sù, Morani....che poi ti mando due, tre giorni in vacanza"
"Signor sì, commissario" - Rispose il povero agente, detestando l' umorismo spiccio e greve che Tavulli offriva al proprio pubblico ogni giorno.
Arrivò con un pò di fatica in Piazza Sant'Eustachio, a quell'ora Roma era più caotica che calda.
Il traffico dettava i tempi della circolazione in città, nulla sembrava avere un senso.
Beppe giunse ancora più nervoso all'appuntamento.
Vide il fratello, fresco alle sei del pomeriggio come Beppe non era mai stato neanche nel giorno della laurea.
Aldo il precisino, Aldo mai scomposto, Aldo e basta, troppo odioso da amare.
Però era suo fratello, la madre voleva bene anche a lui.
Beppe voleva bene alla madre e dunque doveva voler bene pure ad Alduccio.
Lo salutò con un cenno forzato.
Aldo rispose con la faccia da esattore fiscale, da manager, da avvocato in carriera, insomma quella faccia su cui il sorriso sembra una cerniera tra gli occhi malevoli ed il mento raggrinzito.
Si accomodarono in un tavolino da quale si poteva godere un minimo di fresco, alle sei di un pomeriggio afoso a Roma.....CONTINUATE VOI, SCRIVENDO NELLA SEZIONE "COMMENTI" DI QUESTO POST. IL VOSTRO CONTRIBUTO VERRA' PUBBLICATO DOMANI.
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