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Garibaldina e leghista, la doppia vita di Bergamo


DA LASTAMPA.IT

In provincia di Bergamo la Lega è il primo partito, e allo stadio s’è visto più volte questo striscione: «Bergamo nazione, il resto è meridione». Eppure oggi Bergamo accoglierà il presidente Giorgio Napolitano tutta vestita di tricolore, e sarà una grande festa dell’Unità d’Italia. Il sindaco Franco Tentorio (ex Msi ed ex An) ha chiesto ai cittadini di esporre la bandiera e Napolitano vedrà solo tre colori - il bianco, il rosso e il verde - lungo tutto il percorso del suo corteo: le vie Autostrada, Carnovali, Don Bosco, Bonomelli, Papa Giovanni XXIII, Porta Nuova, Sentierone, piazza Matteotti, largo Gavazzeni, via Tasso.

Drappi tricolori hanno già avvolto le colonne dei Propilei, Porta San Giacomo, le Mura venete. Com’è possibile? Dove sono i «trecentomila bergamaschi pronti a imbracciare i fucili per la secessione», come minacciava Bossi? Come mai dal profondo Nord arriverà oggi un anticipo della grande festa per il centocinquantenario dell’Unità? È che Bergamo nel profondo Nord è un’anomalia. Una doppia anomalia. Intanto è un’anomalia perché nell’Italia dei campanili, cioè dei Comuni, Bergamo è innanzitutto una provincia.

Anzi una «nazione», come orgogliosamente rivendicano i tifosi dell’Atalanta. Ad esempio. Un cittadino di Cantù o di Erba, che sono in provincia di Como, non diranno mai di essere comaschi; allo stesso modo uno di Busto Arsizio non dirà mai di essere un varesino, una della Val Chiavenna non dirà mai di sentirsi in provincia di Sondrio, e così via. In provincia di Bergamo, invece, sono tutti bergamaschi. Lo sono quelli del capoluogo come quelli della Val Seriana, della Val Brembana, della Valcalepio; quelli di Scanzorosciate e quelli di Almè, quelli di Brembilla e quelli di Schilpario.

Solo a Treviglio non si sentono bergamaschi, e non è un caso perché Treviglio è diocesi di Milano e nella Bergamasca è stata soprattutto la Chiesa - insieme con le montagne - a formare nei secoli il senso di identità. Dice la leggenda che il vescovo di Bergamo può perfino disobbedire al Papa, tanto è forte l’autonomia della sua terra. I bergamaschi, per dirne un’altra, sostengono di non avere un dialetto, ma una lingua. Ed è una lingua incomprensibile anche da chi abita nelle province confinanti. Ma pur essendo una «nazione» Bergamo - e qui sta la seconda anomalia - conserva per l’Unità d’Italia una sacra venerazione. Non a caso nel suo stemma è scritto «Città dei Mille».

Nessun’altra città ha dato tanti uomini alla spedizione: 174. Perfino l’attuale presidente della Provincia, Ettore Pirovano, leghista duro e puro («Sono stato secessionista convinto», ammette) ha un garibaldino fra i suoi ascendenti: si chiamava Giovan Battista Asperti e a 18 anni si arruolò con i Mille. Guai a toccarli, qui a Bergamo, i Mille. Il 15 maggio 1860 a Calatafimi il bergamasco Francesco Nullo, nel momento più duro della battaglia, chiamò a raccolta i suoi compaesani: «Ché i bergamasch, töcc inturen a me». Arrivarono in un’ottantina e partirono all’assalto con la baionetta sfidando i fucili dell’esercito borbonico.

Gaspare Tibelli e Luigi Biffi caddero centrati in pieno petto: il primo aveva 17 anni, il secondo ne avrebbe compiuti 14 dopo dieci giorni. Sono rimasti nella memoria come esempio della generosità dei bergamaschi, sempre presenti ovunque ci sia bisogno. Oggi al Teatro Donizetti la professoressa Matilde Dillon Wanke illustrerà a Napolitano il progetto di raccolta dei diari dei Mille. «Come accoglieremo il Presidente? Alla bergamasca», dice Ettore Ongis, direttore dell’Eco di Bergamo. «Con concretezza, senza enfasi, ma con profondo rispetto istituzionale.

La nostra gente riconosce in lui un portatore di valori ancora attuali». Secondo Ongis Napolitano è perfino un po’ bergamasco: «Dal punto di vista del carattere ci assomigliamo molto: per il senso della misura, la discrezione e l’equilibrio. Anche il presidente della Provincia, che è leghista, riconoscerà a Napolitano il suo ruolo di garante super partes». Certo, l’anima nordista farà comunque sentire la sua voce («Verrà sottolineata la necessità di uno scatto in avanti per rilanciare il sistema Paese», dice Ongis), ma sarà ugualmente una trionfale festa tricolore com’è stata l’anno scorso l’adunata degli alpini.

Nel pomeriggio il Presidente sarà in visita all’Eco di Bergamo, che qui - più che un giornale - è un’istituzione, un tempio della bergamaschità. Monsignor Andrea Spada, che ne fu direttore per cinquantun anni, diceva sempre ai suoi giornalisti: «Ricordatevi che sull’Eco anche la politica estera va declinata in bergamasco». È la forza di un’identità. Ma un’identità che non porta a chiudersi e anzi fa pure qualche miracolo, come quello che vedremo oggi a pranzo, quando Giorgio Napolitano sarà seduto a fianco di Mirko Tremaglia. Un uomo del Sud e un uomo del Nord, un ex comunista e un ex fascista di Salò affratellati dall’Unità d’Italia.

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