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PIETRE DI PANE - UN’ANTROPOLOGIA DEL RESTARE

«Odio i viaggi e gli esploratori, ed ecco che mi accingo a raccontare le mie spedizioni». L’incipit di Tristi Tropici di Lévi-Strauss è forse la frase più celebre e più avvincente di tutta la letteratura antropologica.
Nulla più dell’idea del «restare» potrebbe, quindi, apparire estraneo alla storia del sapere etnografico.
Restare sembra l’antitesi del viaggiare, del mettersi in discussione, della disponibilità al disordine, alla scoperta, all’incontro. Ma davvero l’idea e la pratica del restare sono inconciliabili con l’esperienza antropologica? E, soprattutto, è possibile pensare un viaggiare separatamente dall’esperienza del restare, e davvero il restare va accostato all’immobilità, alla scelta di non incontrare l’alterità e di non fare i conti con la propria ombra, il proprio doppio? Restare è difendere un appaesamento o esiste anche una maniera spaesante di restare che, a volte, può risultare più scioccante del viaggiare?  L’avventura del restare – la fatica, l’asprezza, la bellezza, l’etica della «restanza» – non è meno decisiva e fondante dell’avventura del viaggiare. Le due avventure sono complementari, vanno colte e narrate insieme.
Restare, allora, non è stata, per tanti, una scorciatoia, un atto di pigrizia, una scelta di comodità; restare è stata un’avventura, un atto di incoscienza e, forse, di prodezza, una fatica e un dolore. Senza enfasi, ma restare è la forma estrema del viaggiare. Restare è un’arte, un’invenzione; un esercizio che mette in crisi le retoriche delle identità locali. Restare è una diversa pratica dei luoghi e una diversa esperienza del tempo.


Attraverso racconti, memorie, note di viaggio e riflessioni, che si fondono in un romanzo antropologico ambientato tra la Calabria e il Canada, Vito Teti ricostruisce la complessità della «restanza», senza nessun cedimento a un’estetica dell’immobilismo e con una sofferta interrogazione sul senso dell’erranza nell’epoca della modernizzazione globale.

Vito Teti è ordinario di Etnologia presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università della Calabria, dove ha fondato e dirige il Centro di Antropologie e Letterature del Mediterraneo. I percorsi della costruzione identitaria, il motivo della melanconia e della nostalgia, l’antropologia dei luoghi e dell’abbandono, il rapporto antropologia-letteratura sono al centro della sua scrittura. È autore di reportage fotografici e ha realizzato numerosi documentari etnografici in Calabria e in Canada per conto della Rai.
Tra le sue pubblicazioni si ricordano: Il pane, la beffa e la festa. Alimentazione e ideologia dell’alimentazione nelle classi subalterne, Rimini- Firenze, Guaraldi, 1976 (n. ed. aggiornata 1978); Le strade di casa. Visioni di un paese di Calabria, (in collaborazione con S. Piermarini), Milano, Mazzotta,
1983; La razza maledetta. Origini del pregiudizio antimeridonale, Roma, manifestolibri, 1993; La melanconia del vampiro. Mito, storia, immaginario, Roma, manifestolibri, 1994 (n. ed. aggiornata 2007); Il colore del cibo. Geografia, mito e realtà dell’alimentazione mediterranea, Roma, Meltemi, 1999; Il senso dei luoghi. Memoria e vita dei paesi abbandonati, Roma, Donzelli, 2004; Storia del peperoncino, Roma, Donzelli, 2007. 

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