
Caro Michele, sei un grande amico della nostra associazione, ci invii i tuoi articoli, esprimi i tuoi pensieri, ti ribelli a una Calabria fossilizzata nei propri malesseri.
Però hai un brutto difetto, che proprio non va giù a chi pretende di intimidire la nostra regione a colpi di lupara o di minacce: sei un uomo libero.
Sei un bravo giornalista, un uomo curioso che si interroga sul malaffare che da Rosarno a Gioia Tauro tormenta le persone perbene che resistono, in Calabria.
La punta dello Stivale dovrebbe essere la più pulita, si sa. Invece è la più sporca, la più trascurata. Di certo non dal Presidente della Repubblica, dal CSM, persino dal discutibile Governo nazionale, recatisi nei giorni scorsi tutti a vedere in che condizioni stesse questa punta dello Stivale.
La Calabria sembra essere abbandonata proprio da chi la vive!
E’ un controsenso folle, una specie di sfida continua verso l’annichilimento della dignità.
Tu invece ci tieni alla dignità della Calabria e ti ribelli, a tuo modo, con articoli forti che colgono le grandi contraddizioni presenti nella nostra regione.
Come te hanno fatto altri giornalisti,tuoi colleghi ,anch’essi minacciati.
Secondo Voltaire, il parametro per giudicare un uomo sono le domande che questi pone.
Voi giornalisti coraggiosi le domande sapete mirarle e a volte sono scomode, molto scomode, tanto da suscitare le reazioni di forze della paura così forti da celarsi dietro l’oceano dell’anonimato: un foglio scritto al pc, in caratteri enormi, e in fondo una croce, simbolo della cristianità tollerante ( quella che a Rosarno è mancata) utilizzato questa volta come vessillo di morte. Non è questa la Calabria, ma occorre dimostrarlo.
E’ vero , dobbiamo farci sentire di più tutti: cittadini, associazioni,sindacati, imprenditori, istituzioni regionali e locali.
Con questo impegno sottocriviamo l’appello di mobilitazione lanciato dal comitato di redazione del Quotidiano e ci sentiamo vicini a te e a tutti i giornalisti che ogni giorno lottano perché la Calabria non si rassegni, ma riesca a liberarsi dalle forze che la opprimono.
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