"La realtà in cui viviamo è spesso ridotta
a una «matassa indistinta e confusa di paure». Una matassa che rischia di
paralizzarci e impedirci di vivere, ma che Marc Augé prova pazientemente a
dipanare nel suo nuovo libro, Les Nouvelles Peurs (Payot, pagg. 92, euro 10).
Per l'antropologo francese, che da anni si concentra sull'analisi delle
trasformazioni e delle contraddizioni del mondo contemporaneo, le paure
economiche e le discriminazioni sociali, le violenze politiche e le derive
tecnologiche, i cataclismi naturali e le minacce criminali finiscono spesso per
sovrapporsi e confondersi, amplificandosi a vicenda, producendo panico e
angoscia negli individui.
«Naturalmente tutte queste paure non sono
direttamente collegate le une alle altre, ma nella vita quotidiana spesso ci
appaiono proprio così», spiega l'autore di Un etnologo nel metrò, Nonluoghi e
Che fine ha fatto il futuro? «I media evocano senza soluzione di continuità il
rischio di un cataclisma, un attentato terroristico, l'aumento della
disoccupazione la strage inspiegabile di un pazzo. Sono realtà indipendenti,
che però tutte assieme in un telegiornale fanno massa. La giustapposizione crea
un effetto di contaminazione che le amplifica e le semplifica al contempo,
dando luogo a un'unica paura globale, diffusa e indistinta. Di conseguenza,
quando ne evochiamo una, di fatto è come se evocassimo tutte le altre. Il che è
indubbiamente un elemento di novità».
Nel passato
le paure erano più isolate, definibili e locali? «Probabilmente sì. Nei secoli
scorsi non sono mancate le grandi paure, che però erano spesso legate a fattori
e contesti ben precisi. Oppure erano paure molto più universali, come ad
esempio la paura della morte. In passato inoltre non si sapeva nulla di ciò che
accadeva lontano da noi, mentre oggi sappiamo tutto quello che accade in ogni
angolo del pianeta. Se un pazzo uccide dei bambini in una scuola americana, ne
siamo immediatamente informati come se fosse accaduto sotto casa nostra. Di
conseguenza, temiamo per i nostri figli. Insomma, tutto quello che accade
lontano ci riguarda e ci terrorizza come se fosse vicino. Il sistema
dell'informazione crea una forma di paura nuova, più sfuggente e più astratta.
Quindi più difficile da combattere. Tuttavia, il fatto che sia più astratta non
significa che non abbia effetti concreti, producendo negli individui un terrore
paralizzante. Come accade per le nuove inquietudini planetarie, che sono la dimensione
oscura e minacciosa della globalizzazione. Dominate dall'idea che ciò che
riguarda gli uni finisce prima o poi per coinvolgere tutti gli altri, le
catastrofi, le epidemie, ma anche il terrorismo o le minacce del sistema
finanziario assumono contorni quasi apocalittici». Questa matassa di paure
eterogenee lo sfondo permanente delle nostre vite? «In un certo senso sì. La
paura è ridiscesa in terra e contemporaneamente si è generalizzata. Un segnale
di questo timore diffuso è il successo di un libro come Indignatevi! di
Stéphane Hessel. L'indignazione, infatti, è la forma sublime della paura. In
questo caso, le parole di un vecchio saggio - una figura abbastanza
tradizionale e quindi rassicurante - riescono a dare un contenuto preciso in
termini socio-politici alle paure indistinte di un gran numero di persone. E'
per questo che il libro ha tanto successo. La nostalgia per certi valori del
passato che prende forma nelle pagine di Hessel viene interpretata come un
grido di rivolta nei confronti del presente. In fondo, se nei secoli scorsi si
aveva innanzitutto paura della morte, oggi si ha soprattutto paura della vita».
Perché? «Gli
allarmi economici, ecologici e sanitari, ma anche la violenza o il terrorismo
sono qui e adesso. Generano un'angoscia quotidianae immediata che occupa tutto
il nostro orizzonte, impedendoci di proiettarci più in là. Nell'epoca classica,
proprio perché gli uomini avevano paura della morte, stoicismo e epicureismo
provavano ad elaborare riflessioni in grado di consolarci. Oggi queste forme di
consolazione filosofica non funzionano più. Molte delle paure che ci
attanagliano non sono nuove in sé, è nuovo però il loro modo di fare sistema e
la loro percezione. Nel passato, dato che le paure erano percepite come locali
e concrete, si aveva l'impressione di poter fare qualcosa per prevenirle. Oggi
invece, più le paure diventano un groviglio inestricabile, più si ha
l'impressione che sia impossibile intervenire sulle problematiche che le
alimentano. La sensazione d'impotenza è uno degli elementi costitutivi delle
nuove paure».
Ciò vale ad
esempio per la percezione della crisi economica. È così? «In effetti, di fronte
alla crisi economica ci sembra che non ci siano soluzioni efficaci. La crisi è
percepita come ineluttabile e inarrestabile. Da qui le paure della
disoccupazione, del declassamento sociale e della povertà, che peraltro vanno
di pari passo con il terrore di un sistema che sembra avanzare in maniera
inerziale e fuori da qualsiasi controllo. In fondo, si teme l'incompetenza e
l'inconsistenza di coloro che dovrebbero governare il sistema. E naturalmente
tutto ciò implica un certo fatalismo che produce battaglie solo difensive. Una
volta si sognava di abbattere il sistema, oggi si spera solo che non crolli
definitivamente per non esserne le vittime».
Ci sono poi
le paure prodotte dalla scienza e dalla tecnologia... «Tradizionalmente le
paure nascono dall'ignoranza. A volte però anche la conoscenza può angosciarci,
come accade talvolta con l'innovazione tecnicoscientifica. Diverse scoperte
della scienza ci fanno paura, dal nucleare alla clonazione. Oggi, nonostante
l'entusiasmo per le nuove tecnologie, l'avvenire ci sembra prefigurare un mondo
d'incognite. Motivo per cui preferiamo non proiettarci troppo in un futuro
percepito più come una minaccia che come una speranza. Questa scomparsa del
domani come orizzonte operabile aumenta inevitabilmente l'ansia nel presente».
C'è un modo
per sottrarsi a questo insieme di paure? «Più che le minacce concrete, siamo
paralizzati dalla superstizione che queste siano presenti nella nostra vita
tutte allo stesso tempo, mescolate e confuse.
Bisognerebbe
quindi essere capaci di districarne il groviglio, isolandole e analizzandole
singolarmente. Solo cosìè possibile disinnescarle. Occorre quindi un atteggiamento
attivo. La paura globale che sfugge al controllo della ragione sembra infatti
agire maggiormente su coloro che si collocano in una posizione di passività nei
confronti della realtà. Chi agisce e interviene ha sempre meno timore di chi
subisce passivamente. In questo senso, l'educazione e l'istruzione possono
aiutarci. La conoscenza può trasformare l'angoscia in curiosità, che, secondo
me, è il primo passo per disfarsene. Senza dimenticare che, se è vero che la
paura produce regressione, essa può anche diventare un fattore di progresso,
dato che, una volta superata la paralisi, ci spinge a cercare soluzioni per
andare avanti».
Ci si può
abituare alla paura e convivere con essa? «Ciò accade spesso, dato che il
timore fa parte del nostro paesaggio quotidiano, modificando le nostre vite e i
nostri comportamenti. La vita però deve continuare, quindi finiamo sempre per
adattarci.
E' però una
vita mutilata. Per questo credo che sia sempre meglio cercare di disfarsi delle
paure, smontandone i meccanismi. Che poi è il motivo per cui ho scritto questo
libro»."
(Da "La Repubblica" del 28 gennaio 2013)
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