Sono andato a vedere "La grande bellezza".
Lo ammetto, sono un po' di parte.
Giudico Sorrentino e Servillo due giganti, rispettivamente della regia e della recitazione.
Non scrivo recensioni, provo a esprimere impressioni.
Il film è un capolavoro, sgombriamo subito il campo da ogni possibile titubanza.
Descrive, come non ho mai visto in precedenza, le miserie di una condizione umana lasciva e incapace di riscattarsi, se non nel mero compatimento dei propri vizi.
Non c'è autoindulgenza, c'è la convinzione di essere entrati, volontariamente, in un vortice: la bella vita romana, la grande bassezza, con echi da tardo impero decaduto.
Servillo è un mostro, questo si sapeva.
Non era però facile descrivere la mostruosità di una vita che scorre inesorabile, nell'affannosa ricerca di bloccare il tempo, di sfidarlo, provando a sentirsi tristemente giovani.
Nel film c'è la morte, una forte, costante puzza di morte.
C'è il sorriso di Fanny Ardant, unico barlume in un buio latente.
Un buio che travolge la Chiesa tradizionale, la chiesa apparato (come "L'apparato umano", il romanzo che rese celebre, da giovane, il protagonista).
C'è rassegnazione.
Si avvertono sprazzi di rinascita, prontamente soffocati.
Si avverte il rammarico per una vita mai vissuta.
Roma ospita tutto questo, è vero, la viviamo ogni giorno.
C'è infine lo sguardo di un meridionale che arriva nella capitale per spaccarla, per viverla, per scoparla.
Pronto poi, dopo averla scopata, utilizzata fino al midollo, a dire che Roma è una puttana, perché ti ha usato.
In fondo, però, ti è piaciuto farti usare. E probabilmente ti piace, ti continua a piacere.....
A meno che non si riscoprano le radici, in quel caso, forse, una luce può squarciare le tenebre.
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