Adesso chiamarlo autoscatto è proprio da rincoglioniti.
Selfie!!!
Selfie della gleba, selfie e ghibellini, sempre e comunque selfie.
Su Facebook, Twitter, per strada, a casa e al lavoro (come nello spot Cynar di quando ero piccolo).
Tutti a fare autoscatti, freneticamente, per sentirsi belli, geniali, tristi, maledetti, Baudelaire del 2014 o Kurt Cobain sull'orlo del suicidio mediatico.
Kurt, i Nirvana, "The man who sold the world".
Che mondo venduto, cazzo.
Ci tengo alle parole, sono tra le pochissime "cose" ancora in grado di emozionare.
"Autoscatto" aveva un fardello troppo pesante di italianità da portare con sé; ricorriamo al mini-serbatoio dell'inglese, utile per dirigersi a mille all'ora verso il precipizio.
Dal cilindro esce fuori un coniglio, un consiglio su come parlare: selfie!
Sempre di moda la banalità. Dopo le barbe a tutti i costi, l'ex autoscatto cambia nome all'anagrafe e diventa un fighissimo selfie.
Siamo passati dalle scarpe alle gambe e, infine, siamo arrivati alla faccia.
Così, schiaffata sulla prima pagina dei social come fosse la copertina del Time.
Non ci sono uomini dell'anno quassù, gente, solo tanti indistinti selfie.
Piccoli nani dell'immagine, elfi, più che selfie.
Sembra di essere a teatro, assistiamo a una rappresentazione di "Sogno di una notte in mezzo ai social" ( il vecchio Will mi scuserà per la storpiatura).
Cala il sipario con un ghigno e con tanti selfie.
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