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Fenomenologia di Cassano


Articolo di Pierluigi Battista, pubblicato sul "Corriere della Sera" dell' 1 febbraio scorso.


La commedia dell'arte, creatura tipicamente italiana, ha trovato in Antonio Cassano la sua nuova, smagliante maschera.
È l’eroe delle curve contro l’universo vip delle tribune. Il re del popolo degli stadi contro l’establishment. L’estro e la sregolatezza contro gli schemi e la disciplina.
Il campione che allo squisito gesto tecnico sa accoppiare, schietto e sanguigno, il gestaccio screanzato.
Checco Zalone (che se ne intende) sostiene che Cassano è l'incarnazione della pugliesitudine, impastata di arroganza e spavalderia. Ma allora lo è anche dell’italianitudine. La curva non è municipalista.
Quella genovese della Samp è antropologicamente affine, se non iden tica, a quella del Bari. Cassano non conosce il federalismo. Il dialetto è barese, ma la sua gestualità è nazionale. Lo amano anche se fa i capricci. Lo adorano anche se fa le bizze. Anzi: lo amano e lo adorano proprio perché fa i capricci e le bizze.
Fosse solo lamentoso, sarebbe diverso. Ma è sempre furioso, irridente, sguaiato, triviale, e per questo sembra un eroe in guerra contro i burocrati del calcio e degli stadi. È il disordine, e quando una squadra decide di prendersi Cassano lo fa sempre con l’aria di chi sospira: speriamo bene. Ha messo in subbuglio il Bari, la Roma, il Real, la Sampdoria.
E per un pelo si è salvato lo spogliatoio della Fiorentina, questo è certo. Il suo passaggio da Genova a Firenze non poteva che creare la ribellione del popolo. E infatti.

Cassano, dotato com’è di un’arte sopraffina, è un virtuoso del dribbling. Ma nessun altro campione, quando fa il tunnel a un avversario, assume quell’aria spaccona di chi, con un numero di tecnica sublime, sembra che voglia dedicare una sonora pernacchia al mondo: non solo all’avversario ridicolizzato, ma alla panchina, alla tribuna, alla televisione, ai commentatori sportivi, al mondo. A Lippi. Nel dualismo con Lippi, del resto, le folle incantate da Cassano vedono l’ennesima riproposizione della frattura tra popolo ed élite, tra la «gente» e le istituzioni. Lippi è l’istituzione (pro tempore).
Cassano è il Masaniello che va all’assalto del Palazzo. Lui non cambia. È furbo, sì, ma non conosce il linguaggio delle opportunità, la geometria delle circostanze. Potrebbe fare il buono, e otterrebbe molti più riconoscimenti di quanti non ne abbia avuti. Ma non ce la fa a fare il buono, la sua maschera gli impone di essere così. Come Jessica Rabbit, potrebbe dire: «Non è colpa mia, è che mi disegnano così». Non è un ipocrita come molti suoi colleghi che in privato si danno alle follie e alle gozzoviglie e in campo fanno le mammolette a occhi bassi.
Cassano non si sdoppia. Il suo principio è il caos, non il cosmo ordinato. La sua è una sfida continua. Un invito permanente alla battaglia. Per questo è così adorato anche se i presidenti e gli allenatori diffidano tanto (e ragionevolmente) di lui.
Cassano non scherza quando è aggressivo.
Le sue sono aggressioni vere. Verbali, più di frequente. Fisiche, come quando viene immortalato nell’atto in cui vorrebbe materialmente azzannare un arbitro che gli fa un (presunto) torto. I tifosi del momento si mettono le mani nei capelli, perché sanno che quel gesto significa squalifiche interminabili. Ma in questo caso è la ragione che parla. Il cuore è tutto con lui, con il Masaniello che impreca, si sbraccia, insulta, lancia apocalittici improperi. Nel nome del popolo, naturalmente. Nel nome della curva, pronta a ripagare il suo eroe con cori di osanna. Cassano non scherza nemmeno quando dice di avere nella sua tabella di seduttore centinaia di donne. Magari saranno di meno. Ma conta il valore di trofeo che quell’elenco da nuovo Don Giovanni venerato dalle curve significa per un ragazzo non bello, non affascinante, cresciuto nelle strade della Bari meno signorile, agiata, educata, istruita, il simbolo del riscatto e della promozione umana e sociale. È il simbolo che lui ce l’ha fatta, che ha scalato i vertici, che è arrivato fino alla sommità senza perdere l’anima. E quelli come lui, cresciuti come lui, non belli come lui, ma che sono rimasti senza nome e senza fama, vedono in lui il risarcimento: il gestaccio contro il mondo dei potenti che vestono elegante e parlano forbito e stanno tranquilli in campo.
E che storcono il naso quando vedono Cassano il nuovo sanculotto. E che sbeffeggia i potenti delle tribune con l’estro dei suoi tunnel: la più grande pernacchia contro il mondo.

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