
Splendido articolo del mio amico Umberto Peta, pubblicato oggi da "Il Quotidiano della Calabria".
In un periodo in cui gli occhi della società calabrese, e non solo, sono rivolti agli ultimi giorni della campagna elettorale, non ci si può sottrarre alla presenza di due stimolanti riflessioni come quelle di Franco Dionesalvi e Franco Cimino che hanno donato ai lettori de il Quotidiano di Domenica 21 Marzo due analisi sul ruolo della poesia nelle sue dimensioni estetica e politico-sociale.
Nel breve ragionamento che segue, cercherò di evidenziare possibili collegamenti tra i due articoli proponendo alcune considerazioni. Le parole di Dionesalvi presentano il poeta nel ruolo di guida del processo anamnestico finalizzato alla ricerca della “Bellezza”, un attributo peculiare dell’essenza dell’uomo.
Questo segno introspettivo diviene tratto distintivo di un individuo plurale, espressione ossimorica che riesce ad esprimere la costituzione del soggetto politico laddove, come afferma Cimino, “il singolo diventa noi”.
Lo spunto dell’articolo di Cimino era dettato da una dichiarazione di uno degli artisti più autorevoli e che stimo, Pino Michienzi.
Quest’ultimo sosteneva l’assenza del legame tra la poesia e la politica. Per contro, in un’esposizione coinvolgente l’arte come categoria, Cimino esprimeva il suo parere sulla loro relazione. Sento di “schierarmi” con Cimino non solo sull’idea della politica che si realizza mediante una retorica intellettualmente onesta. La ragione di questa scelta si colloca sul piano delle funzioni educatrici, morali e critiche che l’arte ha la capacità di promuovere nell’Uomo, con la conseguenza di riuscire a leggere ed a ordinare gli oggetti, non soltanto fisici, del mondo. In particolar modo, penso al teatro riconosciuto come strumento politico per antonomasia: gli esempi vanno dalle giullarate medievali al teatro epico brechtiano e, ovviamente, oltre questi confini. Si situa in tale contesto la ripresa dell’articolo di Dionesalvi, oltre che per l’attività onto-epistemologica della poesia, volta a dare “il nome alle cose”, per il carattere della sorpresa, dello stupore, della meraviglia nei confronti dell’ignoto.
Quell’ignoto che può essere rappresentato da una pagina di una poesia o di un romanzo o da un quadro o da uno spartito musicale o dal suono di uno strumento. È in questo non-luogo che si situa il legame embrionale con il bisogno di sentire le emozioni, la gioia ed il dolore.
Questi sono stati d’animo provocati dalla bellezza che senza un volto entra nelle nostre menti ed infine attua l’aspirazione alla felicità ed all’amore, riuscendo a colmare un vuoto muovendo le passioni. È questa mancanza che origina il bisogno e la ricerca della bellezza.
Oggi ci sono altre figure che hanno assolto il compito che una volta era dei poeti, come ha affermato Dionesalvi: cantautori, pubblicitari, registi. In ogni caso possiamo cogliere un sentimento percepito collettivamente, che interessa la società perché quest'ultima, specialmente quella contemporanea, è alla ricerca di modelli, di modi di essere e di messaggi. Il problema nasce quando le parole o gli stili dei cantautori o degli attori diventano territori di rifugio di un corpo sociale che vive nell’ombra, cioè si sottrae alla luce dell’ignoto o all'osservazione o al pensiero critico. Si sottrae al fascino di una bellezza ingenua che si mostra timidamente, i cui tratti distintivi sono la semplicità, l’innocenza ed il disinteresse.
Su questo terreno della cultura e delle arti, della bellezza etica ed estetica, si giocano grandi sfide che non coinvolgono unicamente la responsabilità di noi giovani ed a cui non si può sfuggire.
Umberto Peta
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