
Decreto interpretativo. Lo hanno chiamato così. Per interpretare a modo loro una regola chiara, evidente, perseguendo sempre il massimo principio ispiratore di fatto e di diritto: il proprio interesse.
Il decretino emanato in fretta e furia, prima che il TAR di Milano si esprima, è l'esplicitazione su carta di un precedente gravissimo per la democrazia italiana: il sovvertimento delle regole, anzi peggio.
Il "cambio in corsa", per adottare un'espressione da hockey.
Come se a poker, dopo aver perso tutto, uno pretendesse di riavere i soldi, affermando di ritenere le regole che lo hanno fatto perdere diversamente interpretabili.
Il full si può battere con la coppia e , perché no, anche con una mezza figura.
Come quella che fa l'Italia all'estero, sponsorizzata dal vento autoritario soffiato dall'Eolo di Arcore.
Tutto a suo uso e consumo, dalle donne alle regole.
Il precedente è gravissimo, si diceva, perché svilisce la credibilità di regole condivise e lascia spazio all'incertezza disciplinata, all'autoritarismo insomma.
Fiancheggiato dal fedele Presidente del Senato, che predicava "il rispetto della sostanza e non della forma", il Premier decide di testare ancora la fibra degli italiani.
Per comprendere se sia riuscito già a imbonire tutti definitivamente o se ci sia ancora un barlume di sdegno, di reazione.
Come un pugile esausto, l'opposizione vacilla;
sembra che la spugna possa essere gettata a terra da un momento all'altro.
Se pago una bolletta alle Poste in ritardo di un giorno, io pago la mora.
Vorrà dire che chiederò formalmente alle Poste la restituzione della mora, perché la mia volontà era interpretabile nel senso di voler pagare la bolletta in tempo.
Del resto avevo fatto la fila anche il giorno prima, in tempo utile.
Ero presente, ero stato delegato da me stesso a pagare la bolletta.
Eppure devo pagare la mora.
Berlusconi paga altre more e, tra una risata e uno sberleffo, sta soffocando la cianotica democrazia italiana.
Non si sa più a chi chiedere aiuto.
Questo è il problema.
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