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L'intervento di Antonio Soriero in occasione della presentazione de "Il meglio è passato" a Catanzaro




Voglio parlarvi de “Il meglio è passato” a Catanzaro, da catanzarese.

In una città in cui spesso Roma, o tutto ciò che stia più a nord di Lagonegro, viene visto come la liberazione dai ruoli e dalle etichette che qui si tende ad assegnare (“U sbertu”, “U scemu”, “A lindina”, “U traffichinu”. “A persuna per bena”, infine, caricando questo “per bena” di un valore quasi assoluto).

“Il meglio è passato” è ambientato a Roma e racconta la storia di un personaggio, Italo, presentatosi all’improvviso alla mia mente come l’interprete di tanti volti visti nella metropoli.

Conoscendomi, potreste chiedermi subito “Perché Roma?”

Perché è la città in cui sono maturato, non quella in cui sono cresciuto.

E adesso che il mio primo libro ha sullo sfondo Roma, Catanzaro comincia a chiedermi conto, a esigere di più. Perché sicuramente le devo molto di più.

Italo, il protagonista (un po’ mancato per vocazione….) del libro si muove in un suo percorso romano ben definito che ha come rifugio ultimo il Bingo, badando con cautela a non stravolgere gli schemi che la sua paura ha disegnato.

Una paura di vincere che esprime una ancor più profonda paura di vivere.

E’ un uomo che si muove all’ombra, come tantissimi che percorrono anche i vicoli di Catanzaro. Non gli uomini da Corso Mazzini, quelli del “M’a viju eu, t’u dicu eu” che illudono gli interlocutori di avere la verità in tasca. E’ un uomo fragile che, nel timore costante di essere impreparato a vivere, non vive, sopravvive.

Come spesso accade, nella vita ancor prima che nei libri, anche ne “Il meglio è passato” è l’amore a sconvolgere gli schemi.

L’amore per Monica, una donna diversa per carattere da Italo, che si innamora di lui perché riesce forse a comprenderne l’originalità, seppur grigia.

Dal punto di vista delle relazioni umane, quindi, ritengo che “Il meglio è passato” potesse trovare ambientazione anche a Catanzaro, tuttavia una dimensione come quella del Bingo è propria delle grandi città, perciò Roma.

Anche se “la città che libera dalla provincia italiana”, come l’ho definita, può essere troppo eterna come è per Italo. Può spersonalizzare.

Infatti Italo, in una metropoli da tre milioni di persone, ritrova una dimensione umana solo in una relazione “a due”, arricchita dalla presenza di una figlia meravigliosa quanto inaspettata: Ginevra.

Ma Ginevra esiste?

A mio giudizio non è così importante focalizzare l’attenzione su questo.

E’ importante concentrare il ragionamento, nel tempo che si vuole dedicare al libro, sull’essenza della felicità.

La ricerca della felicità effettiva che si oppone alla vincita effimera del Bingo, al mondo fasullo.

Cos’è la felicità in breve?

Solo l’amore o è anche la consapevolezza di se stessi, l’affermazione della propria volontà (come per il fioraio Marek).

E dove si è più felici?

In una grande città o in una dimensione più umana, come quella di Catanzaro?

Thomas Jefferson, nella Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti, ribadì la “ricerca della felicità” come diritto inalienabile dell’uomo. E’ un concetto bellissimo.

Italo reclama nei confronti della vita, vuole far valere il suo diritto a essere felice.

E ci è riesce.

Per il futuro di Ginevra, Italo vince se stesso. Sconfigge le sue paure.

Ecco, per me è questo la felicità: la rivincita sulle paure.

Constatata anche dal Signor Alfredo, una figura autorevole quanto inquietante, un angelo custode che ci fa capire che proprio quando il meglio sembra essere passato, sta per arrivare.

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