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Sorelle d'Italia

Il mio racconto pubblicato dalla rivista "L'Ulisse"


“Giò, dove vai?”
Lucia squadrava Giovanna, sua sorella.
“Vado alla manifestazione, anzi ti saluto ché è tardi…”
“Alla manifestazione? E che ci vai a fare?”
“Che vado a fare? Ci stanno rubando il futuro, Lucì, solo tu non lo stai capendo”
“Siiii, rubare il futuro, tanto non cambia niente, lo sai….Quelli stanno lì, alla Camera, al Senato e pensano solo ai fatti loro. Prendi Purenzi, per esempio, quello che è stato eletto da noi ad Avezzano. Sappiamo tutti come è stato eletto….- disse Lucia, sistemando scrupolosamente le Hogan rosa pastello di cui andava fiera – Quelli pensano solo ai soldi, Giò.”
“Lucì, è per gente come te che l’Italia non cambia mai, perché stai a commentare, a guardare. E a sistemare le Hogan. Ma come campi, Lucì? Qua ci stanno rovinando. Maria, la mia amica laureata in architettura, è andata in Germania per guadagnare qualcosa. Milena, che vuole fare la ricercatrice, non ha i soldi per le sigarette.
La mamma le deve ricaricare il PostePay due volte al mese e il padre sta male. Lucì, ti devi svegliare”
“E sì, Giovà, mò ci mettiamo tutti la maglietta di Che Guevara e ci sentiamo rivoluzionari. Ma che pensi? Hai capito o no che non cambia niente?”.
Giovanna uscì, sbattendo la porta. Non si capivano, da sempre. Studiavano entrambe, ma interpretavano la vita in maniera diversa.
Lucia aveva appena preso trenta ad un esame e decise di regalarsi la borsa che desiderava da una settimana.
L’aveva vista alla sua amica Silvia, con la quale non mancavano mai alle serate romane “fashion” (come dicevano loro). Da quando aveva visto quella borsa, l’aveva desiderata da morire. Non voleva sentirsi da meno rispetto all’amica. Provò quindi a chiamare Silvia per chiederle, facendo la vaga, dove avesse comprato esattamente la borsa.
“Silvy, ciao, dove stai? Senti, ma quel negozio in cui hai comprato quella bellissima 
borsa nera dov’è? Mi servirebbe per qualche idea regalo, sai, siamo 
vicino Natale…. Sto andando in centro, ci vediamo dopo per un caffè, così ti 
racconto pure di Marco, la new entry…”
“No, amò, guarda. Il negozio è “Cervi” in via Borgognona. Oggi sto “impicciatissima”,ho troppo da fare, però ci sentiamo dopo, così mi aggiorni su questo  
Marco, mi sa che non stai facendo la brava,eh? Non ti posso lasciare sola 
mai…Ti chiamo dopo, baci” – Con questa formula quasi meccanicamente ripetuta, 
come uno spartito perfetto e cordiale per liquidare un’amica, Silvia si
congedò.
Lucia in fondo ne fu contenta. Avrebbe così potuto comprare la borsa senza 
essere giudicata da Silvia.
Arrivò con fatica a via Borgognona, perché il centro di Roma era pressoché 
interamente “chiuso”, come si usa dire, vale a dire presidiato dalla polizia in 
tutti i punti vicini alle sedi istituzionali. La manifestazione degli studenti aveva 
mobilitato in pieno polizia e carabinieri. Era prevista la partecipazione di migliaia 
e migliaia di ragazzi da tutta Italia.
Gli studenti volevano far valere le loro ragioni, “riprendersi il futuro”, come Giovanna aveva urlato a Lucia.
Lucia vedeva il suo futuro come un qualcosa di ineluttabile, una porzione di vita che sarebbe arrivata.
Non avrebbe in fondo neanche saputo quantificare l’idea di futuro. “Il mio futuro è a partire da domani” - pensava Lucia – “Perché Giovanna prende la cosa così a cuore? Tutto si sistemerà, l’Italia è pur sempre l’Italia.
Secondo me si fa più casino del dovuto”…. E si perse pensando.
Cercò di capire dove fosse esattamente via Borgognona, quando iniziò a sentire voci, migliaia di voci in coro che affermavano il diritto allo studio e parole forti, decise: università pubblica, ricerca, lavoro.
Vide un mare di coetanei festanti, allegri, pieni di vita, procedere con impeto ed educazione, marciare con determinazione per farsi sentire da chi voleva fare il sordo;
dal potere arroccato nelle proprie stanze, un potere protervo e fiero di imporsi, senza ascoltare i giovani.
Lucia rimase colpita dalla quantità di persone che vide, spiazzata da uno spirito che nessuna
festa le aveva mai regalato.
Cercò di guardare quei volti uno per uno, come a volerli raccogliere in un abbraccio “conoscitivo”.
“No, non è possibile…. Non può essere lei” – si addentrò nella folla e la riconobbe
“Silvia, ma che fai qua, vestita così?”
La ragazza non rispose.
“Silvia, Silvia!”
Finalmente si girò.
“Ehm, Lucì, mi vergognavo di dirtelo prima al telefono…. Sono alla manifestazione…
Hanno ragione, Lucì, non ce la facevo più a stare a guardare. Scusami se non ti ho detto
niente….”
Lucia rimase a bocca aperta, si isolò per un istante.
Si senti come l’isola Tiberina abbracciata dal Tevere.
La folla voleva coinvolgerla, aveva bisogno anche di lei.
Con un gesto, repentino quanto inatteso, buttò via il cappotto che aveva indosso e
strinse forte Silvia tra le braccia. 
Si voltò, sorrise agli altri ragazzi e iniziò a camminare con loro.
Tutti scandivano un coro bello, potente.
A guidarli una minuta ragazza con il megafono, tanto fragile fisicamente quanto forte idealmente.
Lucia guardò meglio, era curiosa, tirò Silvia con sé in testa al corteo.
Vide la ragazza con il megafono, era Giovanna.
Fu orgogliosa di sua sorella, era novembre 2010.

Antonio Soriero

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