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A Renato Nicolini


Renato Nicolini è andato via ad agosto. Nel pieno dell'estate romana, la sua estate. Aveva letto la mia storia, gli era piaciuta. Per complimentarsi con Antonio, esagerando in gentilezza, aveva scomodato Fritz Lang, Pasolini, il massimo insomma.  Comprese  la mia misera esistenza, definendola così:"Il suo sogno è per lui la rivelazione del possibile, il recupero del desiderio."
Mi mancherà e, ne sono sicuro, mancherà molto anche ad Antonio.
Italo Lancetti

Ho sentito il bisogno di pubblicare questo ricordo di Renato Nicolini che Italo Lancetti mi ha dettato ieri sera, in preda allo sconforto e alla tristezza per aver perso una mente brillante, controcorrente, così inattuale in quest'Italia ossessionata dal presente. 
Qui di seguito ciò che  Nicolini scrisse su "Il meglio è passato".
Grazie, 
Antonio  Soriero

Caro Antonio,
mi dispiace che impegni a Reggio (il Consiglio di Facoltà e la Conferenza sulla Didattica, un Workshop congiunto del mio Laboratorio di Sintesi Finale e del Laboratorio al Politecnico di Milano di Stefano Boeri) mi impediscano di mantenere l’impegno di essere presente alla presentazione del tuo libro. Soprattutto perché il tuo libro l’ho letto, mi piace ed ero curioso di conoscerti di persona. Cercherò di supplire con questa lettera.
Intanto il tuo libro mi ha divertito da cinefilo. Ho pensato a La donna del ritratto di Fritz Lang. La drammatica storia di perdizione personale per amore di una donna che travolge Edward G. Robinson, si rivela alla fine non essere stata nient’altro che un sogno.
Ma qui il cinema copia la letteratura! L’archetipo infatti è un testo teatrale di Calderon de La Barca, La vita è sogno. Prima ancora, per la verità, c’è un racconto arabo del XII secolo, una storia de Le Mille Una Notte. Un uomo generoso ridotto in povertà invita nell’unica sera mese in cui può concedersi un pasto lussuoso, uno sconosciuto alla sua mensa. E’ stato deluso dagli amici che lo hanno abbandonato, ma non vuole mangiare da solo, vuole completare il piacere del cibo con quello della conversazione. Una sera, lo sconosciuto è il Califfo di Bagdad, il mitico Harun ar Rashid. Così il Califfo lo fa bere e, quand’è addormentato lo trasporta nel proprio Palazzo. Al risveglio tutti lo chiamano Califfo, e vive la vita del Califfo per un giorno, convincendosi che sia la sua vera vita. Poi si riaddormenta, ed il Califfo lo fa di nuovo trasportare nel proprio alloggio… La Vita è Sogno è stato oggetto del famoso Laboratorio Teatrale di Luca Ronconi a Prato – in cui sono stati messi in scena due suoi prodotti, La Torre di Hoffmannsthal ed il Calderon di Pierpaolo Pasolini. Con quest’ultimo ho avuto una relazione più ravvicinata, ho sostituito Judith Malina ad un Festival ad Urbino nella lettura del suo ultimo episodio. Il dramma di Pasolini mi è sempre sembrato conclusivo di un’epoca del ‘900, quella segnata dal mito della classe operaia. Rosaura sogna che la sua vera vita si svolge in un lager (come temo a volte sembri a molti di noi la plumbea atmosfera di conformismo, dove solo il premier gode invece di libertà assoluta, dell’Italia di oggi…), e che gli operai vengano, bandiere rosse spiegate, cantando, a liberarla. Ma Basilio la disillude: “tutti i tuoi sogni, Rosaura, avrebbero potuto essere veri. Ma questo sogno, il sogno degli operai, non è che un sogno, nient’altro che un sogno”.
Con tanti precedenti, non era facile trovare la nota originale. Italo Lancetti è segnato dalla caduta del desiderio, prigioniero volontario della ripetizione e della rinuncia, passivo in ufficio, passivo in ufficio, passivo nel divertimento (il Bingo). Il suo sogno è per lui la rivelazione del possibile, il recupero del desiderio. Un sogno creativo, se alla fine Italo Lancetti scopre la figlia sognata, Ginevra, cresciuta e che lavora, come aveva desiderato, nel marketing. Che la relazione del sogno con la realtà sia più complessa, e questo gioco letterario sia la metafora di qualcosa che riguarda tutti noi? Che Italo Lancetti sia un po’ lo zeitgeist dell’Italia ammaccata e spaventata, abitudinaria come lo struzzo, e che il gioco ci inviti a riprendere, se non il desiderio, almeno il sogno, per dare ai nostri figli un futuro?
Non posso fare a meno di domandarmelo, ed un libro che produce domande ed interrogazioni è un buon libro.
Cari saluti
Renato Nicolini

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